Università del Paesaggio
La consideriamo una interessante iniziativa quella di istituire una Università del Paesaggio e nell’attesa che prenda corpo ne pubblichiamo qui le linee generali e gli obiettivi.
La proposta di costituire a Treviso un Ateneo non statale, legalmente riconosciuto, di Scienze, Tecniche e Arti di Paesaggio, che si prefigge di rilasciare lauree L, lauree magistrali LM, diplomi di specializzazione DS, dottorati di ricerca DR (denominati così dal DM 22.X.2004 n. 270, art. 3 [1, 2]) nasce nel corso del 2006.
L’Università del Paesaggio intende contribuire ad affrontare il compito definito dagli articoli 6 e 8 della Convenzione Europea del Paesaggio, ratificata dallo Stato italiano il 4 maggio 2006 (legge 9 gennaio 2006, n. 14) e in vigore dal 1 settembre 2006.
L’iniziativa è promossa da due Fondazioni che hanno sede nella città di Treviso, la Fondazione Benetton Studi Ricerche e la Fondazione Cassamarca, entrambe con esperienza pluridecennale nel campo degli studi e delle azioni per il patrimonio culturale, che a questo scopo hanno dato vita all’Associazione Accademia di Paesaggio, impegnandosi a garantire a) il perseguimento degli scopi scientifici e istituzionali pertinenti alla ricerca e alla formazione; b) la dotazione finanziaria e il mantenimento dell’Ateneo; c) la sede, le infrastrutture logistiche, i servizi biblioteconomici, archivistici e laboratoriali.
Curriculum peculiare
La formazione di figure professionali in possesso degli strumenti conoscitivi e progettuali adeguati ad operare nei patrimoni di natura e di memoria che si sono accumulati nel corso del tempo e che danno forma e vita ai luoghi della nostra attuale condizione umana costituisce un obiettivo di indiscutibile importanza e urgenza in tutta Europa. E sono proprio le personalità che con maggiore tensione hanno riflettuto sulla necessità di nuove figure e promosso il dialogo tra le varie discipline necessarie a verificare la parzialità dei risultati ottenuti e a denunciare le difficoltà dei tentativi fin qui sperimentati negli ordinamenti universitari esistenti.
L’ipotesi dalla quale nasce l’iniziativa di Treviso, per ciò che occorra definire un curriculum formativo peculiare individuando contemporaneamente i molteplici ambiti di utilità sociale, amministrativa, gestionale, progettuale e i conseguenti campi di applicazione occupazionale della nuova figura professionale.
Condizioni e ragioni della proposta
A questo fine è utile riflettere sul quadro delle modificazioni sociali e culturali, e in particolare di quelle che hanno determinato nel corso degli ultimi decenni del XX secolo, e con crescente evidenza all’inizio del XXI secolo, la domanda di nuove professioni in questo campo. Si pensi al valore che vanno assumendo gli spazi aperti, anche quelli marginali e di risulta, nella città e nelle periferie; al significato dei segni contestuali per lo stesso rispetto alle emergenze testuali; alle forme e alle vite dei paesaggi a scala territoriale, dalle nebulose insediative ai paesaggi agrari, per i quali, dopo una lunga rimozione, va ricomparendo l’esigenza di un loro disegno anche in relazione alle funzioni economiche e alle destinazioni d’uso con il riconoscimento della loro specifica dimensione ecosistemica; alle infrastrutture per la mobilità, intorno alle quali si sta cercando di spostarsi dalla secca opzione del no alla verifica del se e, poi, del come. In tutta Europa è venuta emergendo l’urgenza e la potenzialità dell’intervento progettuale nel vasto catalogo di luoghi feriti e degradati dalla secolare vicenda della ‘rivoluzione industriale’.
Sono queste alcune modificazioni sociali e culturali che rinviano al quadro generale di quel processo storico complesso, ancora in corso, che possiamo immaginare come crisi della modernità. In particolare nell’arco della seconda metà del XX secolo, sono stati proprio i fondamenti del moderno, fino all’imperativo della tecnoscienza e al gigantismo macchinistico, a smarrire il senso del limite (culturale, etico, politico) nell’uso dei mezzi. Per restare in Europa e nel campo del paesaggio ciò appare con speciale evidenza nei modi, tempi, parametri quantitativi del prelievo di suolo e del consumo di patrimoni naturali e storici che nel secondo dopoguerra hanno causato una deformazione irreversibile dell’assetto dei luoghi.
Nuove sensibilità e tensioni
Ma da almeno due decenni sono in atto riflessioni critiche e iniziative per rispondere alla crescente preoccupazione che si va manifestando anche al di là delle ristrette cerchie di addetti ai lavori. L’uso dei beni comuni ha cominciato ad apparire abuso: l’acqua ne è l’esempio più vistoso e per molti versi drammatico. Contestazioni diffuse, anche se puntiformi, si sono manifestate contro gli appetiti bulimici di territorio, le crescite deregolate di insediamento, le perdite di alterità reciproca tra città e campagna, le banalizzazioni dell’agricoltura, gli impoverimenti biotopici, gli strappi alle fragili reti naturali/culturali e alle testimonianze storiche stratificate.
Osserviamo l’affacciarsi di una inquietudine che via via ha assunto anche connotati responsabili di una consapevolezza dell’esistenza di limiti invalicabili. E’ apparso insomma in questi ultimi anni un primo sottile ma prezioso strato di sensibilità verso il rapporto tra il degrado dei luoghi e il malessere individuale e collettivo delle popolazioni. Possiamo catalogare una significativa costellazione di esperienze civili in luoghi nei quali la domanda di salvaguardia non nasce dalla tutela di un valore speciale, dalla protesta per una ferita prodotta alla maestà dell’arte o alla bellezza del monumento o alla fascinosa notorietà del posto, ma dal degrado della condizione umana in paesaggi ordinari, anche in ragione dell’impoverimento dei patrimoni culturali e naturali che nel tempo vi si erano accumulati. Si tratta perciò di qualcosa che riguarda tutti i luoghi, e che inizia ad agire sull’intelligenza e sull’emozione di intere comunità, non solo degli studiosi e delle ristrette elites locali.
Condizione dei luoghi e qualità della vita
Il risultato più importante di tutta la battaglia di idee di questi ultimi decenni sta nell’evidenza assunta dalla crucialità di un rapporto inscindibile e fondativo tra la qualità della vita delle persone (e delle comunità) e la qualità della vita e della forma dei luoghi nei quali esse lavorano, apprendono, circolano, coltivano relazioni sociali e culturali, si stringono insieme per segnare i passaggi cruciali dell’esistenza. Ed è venuto chiaro che questa condizione complessiva dei luoghi, che coinvolge sia il patrimonio di natura e di memoria che le domande delle comunità pertinenti, non è leggibile, nè valutabile, nè governabile con le discipline e le professionalità così come oggi sono ancora compartimentate. La svolta è accelerata dalla Convenzione Europea del Paesaggio, documento normativo capitale che a partire dai connotati spaziali e antropologici dei paesaggi, li assume sul terreno dell’etica e della politica facendoli entrare nel campo delle responsabilità individuali e collettive.
Idea storicistica e antropologica di paesaggio
La conquista in corso di un’idea di paesaggio come «porzione di territorio, così come è percepita da chi vi abita, il cui aspetto è dovuto a fattori naturali e culturali (umani) e alle loro interazioni» (Convenzione Europea del Paesaggio, art. 1) e, di qui, alla responsabilità individuale e collettiva, privata e pubblica di governarlo, apre una nuova frontiera pluridisciplinare e costituisce il compimento di un peculiare processo culturale europeo, scandito da varie fasi successive.
Una prima fase aveva portato, nell’ultimo Ottocento e nel primo Novecento, alla definizione del valore dei patrimoni storici, artistici, monumentali, e del compito pubblico di proteggerli, con una capitale legge austriaca ispirata da Alois Riegl e le successive leggi di tutela derivate in molti Paesi europei. Una seconda fase è connotata tra le due guerre mondiali dalle leggi di tutela e dalle leggi urbanistiche razionaliste. Una terza fase è quella che nel secondo dopoguerra ha vissuto la diffusione di una sensibilità ecologistica e ha sancito la protezione di patrimoni naturali di particolare valore.
Una quarta fase, a partire dagli anni Ottanta, ha delineato nuove attenzioni verso i giardini (carte di Firenze) e verso i paesaggi.
Responsabilità pubblica
La novità di questa ultima fase non sta dunque nell’attenzione al paesaggio, nel riconoscimento del suo valore, perchè già i geografi dell’Ottocento, e prima i viaggiatori del Settecento, e prima ancora le idee e le arti dell’umanesimo europeo, ci avevano trasmesso questa sensibilità. La novità attuale, sancita dalla Convenzione Europea del Paesaggio, che l’Università del Paesaggio di Treviso assume come propria referenza esplicita, sta nella dichiarazione di responsabilità pubblica che da questo riconoscimento deriva. Tutti i paesaggi divengono così ambiti identificabili di spazio, non più rappresentazioni di luoghi ma luoghi concreti, storicamente e antropologicamente determinati. Il paesaggio si fa così coacervo di segni, significati, aure, aberrazioni, tensioni, presenze che si accumulano nel tempo portate da inarrestabili trasformazioni materiali, da metamorfosi del gusto, da migrazioni di idee, e anche da improvvise sorprendenti costruzioni ideali e ideologiche.
Ruolo della comunità insediata
Uno dei problemi che dobbiamo affrontare nasce dal fatto, non infrequente, che la percezione della comunità insediata può essere diversa, anche radicalmente, e perfino conflittualmente, dalla percezione del viaggiatore, dello studioso, dello stesso responsabile della salvaguardia. Prende così valore centrale il senso comune (la mentalità, il gusto, la sensibilità) delle persone e della comunità insediata, delle sue rappresentanze, dei suoi valori culturali e civici.
E viene perciò in primo piano la questione del coinvolgimento della comunità stessa in un processo virtuoso di elevazione del senso comune e di crescita culturale, a partire dalla scuola di base. Un processo che implica da parte del mondo scientifico una corrispettiva capacità di conoscenza (non adesione) della mentalità della comunità insediata, e di dialogo critico con l’idea di spazio, di tempo, di natura, di eredità storica, di identità che vigono nella comunità insediata per avviare una modificazione maieutica, un dialogo di reciproca elevazione.
Luogo come forma/vita
Se il compito che assumiamo è contribuire a formare figure professionali che sappiano operare in un campo di lavoro scientifico incardinato nel legame imprescindibile e storicamente mobile tra la condizione della forma/vita dei luoghi e la condizione umana/sociale delle persone e delle comunità che li abitano, dovremo scavare ancora, con la teoria e con la sperimentazione, intorno ai significati che attribuiamo al concetto di luogo.
L’idea di luogo appare cruciale per la ulteriore definizione del campo di lavoro e del curriculum degli studi di chi sarà chiamato a conoscerlo, governarlo, disegnarlo. Il paesaggio/luogo occupa dunque uno spazio, ha un sito e una postura, ma è molto più dello spazio che occupa e del sito in cui sta. E’ forma/vita; rapporto in movimento perenne tra forma e vita; risultato sempre aggiornato e sempre mutevole di tutte le stratificazioni di natura e di cultura (memoria) e, insieme, di tutte le tensioni a continuare a mutare nel tempo, di tutte le proiezioni vitali verso il futuro. Potremmo, con una forzatura che pare utile, indagare su un paesaggio e sulla sua storicità come indaghiamo su una persona. Come la società è sistema continuo di individui, così la biosfera è sistema continuo di luoghi, ‘società di paesaggi’, tessuto di fili e punti riconoscibili, rete che definisce per quanti leggibili la continuità del mondo naturale e storico.
Disegno e governo dei luoghi
La questione dell’individualità di un luogo, della sua temporalità, della sua conterminabilità e commensurabilità spaziale, si presenta a noi, in definitiva, come questione di conoscibilità per mezzo di saperi trasmissibili e come questione di responsabilità verso il patrimonio storico e naturale che custodisce. Responsabilità è per noi azione responsabile, e inevitabile, poichè la nostra civilizzazione non ci concede, come altre, l’opzione puramente contemplativa, l’osservazione esterna delle evoluzioni e/o dei ‘saltus’ di una inimmaginabile (per noi) spontaneità .
La conoscibilità e la responsabilità costituiscono le condizioni per l’attività di disegno e governo dei luoghi. Esse presuppongono la identificazione dei caratteri costitutivi e dei tratti fisiognomici essenziali dei luoghi, la conterminazione dei loro ambiti, il programma pluriennale di modificazione, la pratica stagionale di rinnovo, le cure quotidiane. Esse richiedono norme tese a regolare la convivenza nello stesso spazio di patrimoni naturali, sedimenti culturali e presenze umane (con implacabile corredo di esigenze e di tensioni funzionali). L’attività di disegno e governo si configura dunque come sistema coerente di atti da compiere nel tempo, come definizione dei modi e degli strumenti per compierli.
Nel quadro universitario italiano, l’Università del Paesaggio nasce dentro alla classe di laurea di Scienze dei Beni Culturali.
La previsione relativa alle applicazioni occupazionali va per altro posta nel quadro di una fase culturale e istituzionale europea caratterizzata da una accentuata dinamica, che coinvolge anche gli ordinamenti formativi e gli stessi ordini professionali. L’Università del Paesaggio prevede le prime lauree a fine 2010/inizio 2011 e le prime lauree magistrali a fine 2012/inizio 2013. E’ possibile che le lauree magistrali siano due, una di disegno dei paesaggi più centrata sulle esigenze progettuali e operative, e una di governo dei paesaggi più centrata sulle esigenze gestionali della committenza pubblica e privata.
Governo dei paesaggi
La transizione dall’idea di tutela dei luoghi intesa come vincolo all’idea di salvaguardia e valorizzazione della loro ‘identità’ e ‘autenticità’ come guida attiva delle modificazioni e come progetto è un processo difficile ma decisivo, al quale partecipano molte diverse componenti sociali e professionali. Possiamo definirlo come un vero e proprio virage culturale strategico, al quale anche la nuova università intende collaborare. La difficoltà sta nell’assumere la modificazione come linguaggio, nell’accettare il compito di indirizzarla verso nuove forme e nuove vite, che a loro volta conservino i caratteri fondativi delle forme e delle vite precedenti. Non tralasciando che, come si è scritto avanti, questo diritto vale per tutti i luoghi, non solo per quelli dotati di speciale intensità formale o densità monumentale o fascinazione percettiva, e che, in questa fase storica di critica della modernità, questo diritto si rivolge ancor prima ai paesaggi ordinari, feriti, degradati.
Per quanto attiene ai campi di applicazione professionale, l’ipotesi allo studio si basa sia sulle esigenze pubbliche, degli Stati, responsabili di molti paesaggi notevoli, dalle aree archeologiche ai parchi e giardini storici; delle Regioni e delle Province, responsabili ormai in tutte le materie pertinenti al territorio, all’ambiente e al paesaggio, compresi molti parchi naturali e fluviali; dei Comuni e delle loro giardinerie, con esigenze evidenti e diffuse di dare nuova qualità al verde pubblico, agli spazi aperti, ai cimiteri. Ma è importante e crescente anche lo spazio offerto dalla committenza privata, non solo nei luoghi di pregio, ma anche nei paesaggi del turismo e dell’agricoltura, della vite, del bosco e dell’alpeggio.
Disegno dei paesaggi
Il lavoro (le scienze, le tecniche e le arti) di paesaggio non può essere inteso come cosmesi e tanto meno come land-art o installazione effimera di arte plastica nel paesaggio. E non può essere confuso con l’architettura, la quale produce e tende ad aggiungere manufatti che fanno parte del luogo e contribuiscono fortemente alla sua forma/vita, ma non sono il luogo. Esercitare scienze, tecniche e arti di paesaggio significa saper disegnare e governare i luoghi. Disegno e governo formano la guida di modificazioni che possono essere immaginate anche âa levareâ? e che comunque hanno tempi lunghi ed esiti non tutti prevedibili. Come giardinaggio significa governo/disegno del giardino, così paesaggio significa governo/disegno del paese. Il rapporto tra immaginazione e concretizzazione che possiamo utilizzare in un lavoro che assume i patrimoni naturali e culturali come corpi vivi di un processo inarrestabile di trasformazioni non dispone delle iconografie millimetriche e della cronometria che invece sono date nel rapporto tra progetto cantiere e realizzazione nell’architettura. Non si insisterà mai abbastanza, per la qualità e per la vita stessa dei luoghi, sul carattere peculiare del tempo e dello spazio, delle misure e delle scale, sul «pathos delle distanze»; sull’importanza delle cure ininterrotte; sul mantenimento come pratica quotidiana; sulle attenzioni esecutive che derivano dalla visione generale e dalle opzioni normative, gestionali, scientifiche e tecnico/artistiche programmate negli anni e distribuite con ordine nellâagenda delle stagioni, dei giorni e perfino delle ore. Così come, di contro, sarebbe bene evitare l’espressione restauro del paesaggio, da ogni punto di vista priva di senso. Si tratta piuttosto di invertire la spirale negativa degrado/restauro e garantire (come e più che per i manufatti e per i monumenti) la custodia responsabile, la tempestività e la continuità della cura, del rinnovo e dell’innovazione progettuale.
Campi di applicazione professionale
Possiamo articolare in alcuni settori la tipologia dei casi in cui questa relazione (necessità) si presenta anche per valutare le opportunità occupazionali delle nuove figure professionali.
A. Riqualificazione e/o rinnovo di spazi aperti urbani, anche attraverso la sottrazione di volumi incongrui e di superfetazioni spurie, nelle diverse tipologie e morfologie con le quali si presentano, dalle cerchie murarie alle piane liberate dal traffico, dai sacrati dei piccoli centri (tema onnipresente nel nostro Paese) ai parchi storici aperti al pubblico, dai viali lungofiume ai siti archeologici posti nei centri storici;
B. Invenzione di nuove forme/vite di spazi di risulta e di aree interstiziali presenti ovunque, in particolare nelle periferie urbane e nei paesaggi dellâindustria, tenendo conto delle diverse esperienze storiche e attuali di affidamento di beni a soggetti responsabili (ad esempio orti urbani e periurbani) e delle esigenze di conservazione ed espansione di microcosmi biotopici preziosi;
C. Partecipazione al disegno delle infrastrutture fin dallâimpostazione dei progetti, in un ruolo non secondario e puramente decorativo; dialogo fin dalla definizione dei tracciati e dellâassetto dei nodi intermodali, delle stazioni, delle aree di sosta e di parcheggio, delle aree contestuali agli spazi funzionali;
D. Partecipazione al disegno di paesaggi dellâagricoltura, a cominciare dagli spazi contestuali agli insediamenti nei vasti compendi coltivati (ville, masserie, monasteri), portando avanti la ricerca di nuovi rapporti tra (chi si occupa della) vita e (chi si occupa della) forma del paesaggio agrario;
E. Progetto e programmazione della forma/vita futura dei luoghi feriti e degradati dalle trasformazioni della seconda metà del XX secolo, nei quali i modi dello strappo non hanno concesso i tempi di rimarginazione e di rinaturazione spontanea (invenzione di una ”terza vita” delle cave, delle miniere a cielo aperto, delle aree industriali obsolete);
F. Disegno di spazi del sacro, della memoria e della sepoltura, settore nel quale la domanda di nuove capacità propositive appare con tutta evidenza;
G. Disegno di spazi ripariali o contigui alle figure dâacqua (fiumi, canali, laghi, zone umide) finora affidato quasi esclusivamente a parametri di ingegneria ambientale e di tecno-scienza ecologica. La tendenza attuale a restituire terra all’acqua e a cercare l’incrocio tra esigenze di sicurezza idrogeologica, complessità biotopica e intensità del risultato formale rappresenta uno dei segni più importanti della nuova fase storica post-industriale, oltre la modernità, e uno dei settori più aperti alla riflessione sull’attualità e sulla fertilità progettuale delle conoscenze tradizionali.
Conservazione/innovazione
Nei paesaggi speciali, nei siti notevoli, nei luoghi che prendono forma da un pensiero e da un gesto inventivo unitario, la teoria e la pratica di disegno e governo mettono al centro, accanto al talento dellâinventore, la sapienza e la continuità di una guida delle modificazioni e si propongono di far vivere nel tempo quella stessa invenzione, ritrovarla, rinnovarla, facendola rimanere se stessa, in tensione tra innovazione e conservazione. Ma questa tensione è in tutti i luoghi il risultato di una lotta senza sosta, tra le forze che spingono alla rovina e le forze che spingono all’elevazione. Sono gli stessi caratteri della natura e degli artifici che tendono, contemporaneamente, da una parte a perdere forma e dall’altra a ritrovarla, da una parte a degradare la vita e dall’altra a rinnovarla. Così, la tensione tra innovazione e conservazione può presentare esiti diversi, dallo strappo al degrado, dall’abbandono fino alla nuova qualità, e perfino alla bellezza inedita, a seconda del posto e del momento. Ma è certo che in ogni momento e in ogni posto, qualcuno, una comunità, una persona, un’istituzione, porta di quel diverso esito la responsabilità.
Aree disciplinari di un curriculum inedito
L’ipotesi di un corso di laurea del tutto nuovo, ripercorre, con molteplici differenze, quanto è avvenuto tra le due guerre nel campo dell’architettura, quando è stato costruito un corso di laurea inedito a partire dalle due tradizioni, delle ‘Belle Arti’ e dell’ingegneria, per far fronte a nuove domande del mondo moderno, dal diritto allo stato sociale, al bisogno di casa e di città . Si può dire, col gusto dell’analogia, che l’Università del Paesaggio intende far fronte alle nuove domande del mondo postmoderno, dal bisogno di natura e di memoria al diritto alla qualità dello spazio vitale. Si può anche dire che mentre il moderno (la modernità produttiva e lo stato sociale) ha garantito lo spazio vitale, il postmoderno (la modernità riflessiva) cerca di occuparsi della qualità dello spazio stesso.
Perciò il corso di laurea in Scienze, Tecniche, Arti del Paesaggio trae materiali formativi da un’ampia articolazione di aree disciplinari alle quali è necessario attingere per la formazione dei paesaggisti. L’attitudine fondamentale della figura del paesaggista è la capacità di coordinare molte conoscenze, scienze, arti e mestieri diversi che concorrono al buon governo dei paesaggi. Una figura che può trovare un riferimento analogico, nel campo musicale, con il direttore d’orchestra. Anche questa figura nasce storicamente in un momento di espansione e diversificazione dell’organico orchestrale; e non deve saper suonare tutti gli strumenti ma conoscere e trarre il meglio da ogni strumento, per costruire una propria sintesi esecutiva, coordinandoli nel tempo e nello spazio, nelle intensità e nei silenzi.
Bagaglio conoscitivo
Un ideale bagaglio conoscitivo del paesaggista può essere costruito a partire da quattro sfere disciplinari pertinenti tra loro intersecate.
A. La sfera delle idee
Gli studi prevedono innanzitutto un robusto bagaglio storico-critico con particolare attenzione alla storia delle idee. Per saper riconoscere i caratteri costitutivi dei luoghi e il processo che ha fatto loro assumere la forma e la vita attuali per poter definire i parametri del governo e del disegno delle forme e delle vite future. Per avere consuetudine con lâampia gamma di fonti letterarie, filosofiche, grafiche, fotografiche che collaborano alla conoscenza delle modificazioni del luogo, e delle idee, delle norme, dei poteri e degli strumenti operativi che vi hanno contribuito. Il carattere storicistico della formazione del paesaggista dovrà connotare anche le altre sfere disciplinari (scienze, norme, tecniche e arti).
B. La sfera delle scienze
Il piano di studi deve contenere elementi adeguati di scienze della terra, della natura e del comportamento umano, dallâidrogeologia alla geografia fisica e umana, dalla biologia ed ecologia alla antropologia e sociologia, fino alle discipline che studiano la città e il territorio, la mobilità delle persone e delle cose. Attenzione speciale va posta alle conoscenze che formano la capacità di programmazione e di gestione delle pratiche periodiche (quotidiane, stagionali, annuali, pluriennali) di manutenzione, di conservazione e/o di rinnovo del patrimonio vegetale e più in generale biotopico.
C. La sfera delle norme
Il paesaggista deve conoscere criticamente, traendole dalle discipline economiche e giuridiche, le norme che regolano il diritto dei beni comuni (acqua, aria, territorio, spazio vitale), delle forme viventi e dei patrimoni culturali; la loro evoluzione storica; le pertinenti strutture istituzionali e i loro poteri alle varie scale, da quella europea a quella locale. In particolare deve conoscere in modo approfondito la storia delle norme di tutela del paesaggio nel corso degli ultimi due secoli in Europa, con elementi di confronto con altre civiltà giuridiche.
D. La sfera delle tecniche e delle arti
Di fronte alle opzioni operative e alle invenzioni progettuali che comporta il fare paesaggio, assume particolare importanza una robusta formazione culturale critica e una attitudine storicistica. La conoscenza delle pratiche tradizionali e il loro uso innovativo diviene un campo di studio di grande utilità e attualità in una fase di riflessione sul moderno e di transizione a una civiltà che si pone la questione dei limiti e dei parametri della sostenibilità . La conoscenza, la tensione innovativa delle tecniche e delle arti di paesaggio presuppone un adeguato spessore critico, un particolare bagaglio di gusto e di stile.
Criteri di valutazione del nuovo Ateneo
Mettere in dialogo un insieme disciplinare così articolato e interrelato sarebbe impensabile senza garantire a tutti gli aspetti dell’iniziativa un’attitudine accentuatamente sperimentale.
In questa direzione intendiamo assumere quelli che ci paiono buoni criteri di valutazione della lungimiranza culturale e utilità sociale del nuovo Ateneo: peculiarità /innovazione; ricerca/eccellenza; autonomia/responsabilità ; sperimentazione.
A. Peculiarità/innovazione
Porre il centro in un compito formativo non ripetitivo e non oscuro. Si tratta di una figura professionale che può essere definita qualcuno che si occupa di conoscenza, governo e disegno di luoghi. Qualcosa che ripete quanto avviene, almeno da due secoli, ogni volta che si apre una nuova porta di conoscenza specialistica (si pensi al vasto catalogo di figure che si occupano di scienze dellâinfinitamente piccolo e dellâinfinitamente grande). Oppure, come in questo caso, ogni volta che dai processi reali nasce una nuova domanda di relazione e di stratificazione di diversi specialismi per riuscire a fare, o semplicemente a fare meglio, unâoperazione complessa (l’architetto e la casa, l’urbanista e la città, lo psicoanalista e la mente, il direttore d’orchestra e la musica sinfonica, l’iconologo e l’opera d’arte).
B. Ricerca/eccellenza
Non trasmettere conoscenze date, ma cercare di produrre nuove conoscenze e nuove idee, avventurarsi là dove gli statuti scientifici non sono sistemati. Andare oltre. Fare ricerca e sperimentazione proprio sui luoghi più complicati e più controversi. E non per astratta ansia di riconoscimenti, ma per tentare altre strade e modi diversi di affrontare contraddizioni che sono allâordine del giorno, che non appaiono ancora affrontate (o affrontabili) con gli apparati scientifici, tecnici e normativi in circolazione. Si può fare l’esempio vicino di una questione sulla quale è necessario e urgente portare più in là le conoscenze; si conoscono infatti i rischi assai elevati per l’assetto dei luoghi e la qualità della vita derivati dallo stato dellâinsediamento e della mobilità in alcune aree europee, come il nordest italiano, e si deve riconoscere anche la sostanziale persistente inadeguatezza di conoscenze, norme e strumenti con cui sono stati finora affrontati.
C. Autonomia/responsabilità
Garantire una struttura gestionale e scientifica dotata di piena autonomia funzionale e finanziaria. Al di là dell’opportuno rispetto delle norme che garantiscano il riconoscimento del titolo di studio, l’Ateneo prevede una speciale attenzione al livello e alla struttura del corpo docente per un numero annuale massimo di 35-40 studenti con un tutore ogni 7/8. Anche le attrezzature di studio comprendono, oltre alle aule, ai laboratori, agli uffici e all’aula magna, un proprio centro documentazione, già in funzione, formato da una biblioteca e una cartoteca specializzate, e da un archivio documentario e iconografico. L’Ateneo dispone altresì nei dintorni della città di Treviso di un vasto compendio per svolgere attività di sperimentazione pratica.
L’iniziativa nasce a Treviso e trova nella storia, nella geografia e nelle condizioni attuali del territorio in cui si insedia, nella forma e nella vita dei paesaggi veneti, una sua peculiare ragione costitutiva e una vasta antologia di possibili casi/studio e casi/laboratorio. Si può affermare che, al di là delle dotazioni strutturali e logistiche, dispone di uno speciale territorio/laboratorio in un ambito geografico compatto e facilmente raggiungibile; nel quale il catalogo di ambienti e paesaggi variamente sottoposti alle tensioni del cambiamento è particolarmente diversificato. Sotto questo profilo Treviso e il suo territorio si presentano davvero come una candidatura naturale. L’Ateneo può contare inoltre su un’esperienza di due decenni in questo campo di studi con la sperimentazione di corsi brevi, viaggi di studio, seminari e laboratori, che intende estendere e perfezionare recependo e confrontandosi con ogni altra esperienza ed elaborazione, in particolare europea, che presenti spessore adeguato e che possa arricchire la qualità della proposta formativa e della sperimentazione scientifica in campo paesaggistico.
D. Sperimentazione
L’attitudine innovativa e sperimentale si misura in particolare nel metodo formativo. Pensiamo a una struttura del lavoro universitario incardinata su progetti/temi/casi di durata annuale (asse verticale unitario portante) che accumulano elementi disciplinari nel corso dello svolgimento (rami orizzontali). Varie esperienze europee mostrano la fertilità e la perfettibilità di questa opzione, che certo implica speciali attenzioni alla programmazione didattica, ma è in grado di superare il carattere frammentario e paratattico degli esami separati e chiusi. In questa direzione, pare necessaria una organizzazione del tempo fondata sulla settimana come unità di misura e sulla sequenza ciclica di settimane diverse, connotate da varie pratiche formative, ognuna delle quali dispone di tempi adeguati per: a) apprendimento tradizionale, attraverso lezioni, seminari, conferenze; b) riflessione critica sui temi incontrati (letture, discussioni, approfondimenti, schedature) e cura delle procedure di memorizzazione del sapere organizzata con i tutori e svolta soprattutto nel centro di documentazione; c) conoscenza sperimentale di luoghi e di idee attraverso l’incontro diretto e prolungato, sul campo, con personalità maieutiche di chiara fama e di adeguata autorevolezza.