Università e lavoro: orientarsi con la statistica
L’Istat aggiorna Università e lavoro: orientarsi con la statistica. La nuova edizione riporta i dati più recenti relativi:
- all’inserimento professionale dei laureati del 2001 (indagine Istat del 2004);
- ai percorsi di studio e lavoro dei diplomati di scuola secondaria superiore del 2001 (indagine Istat del 2004);
- alle forze di lavoro (indagine Istat del 2005);
- all’istruzione universitaria (indagine MIUR-ufficio di statistica sui dati dell’anno accademico 2005/06).
Quasi 332 mila matricole, erano 348 mila l’anno precedente
Sono quasi 332 mila i giovani che nell’anno accademico 2005/06 si sono iscritti per la prima volta all’università (16 mila in meno rispetto all’anno precedente). Il leggero calo nelle immatricolazioni riscontrato nel 2004/05 (-1,5%) segna un primo arresto alla crescita, confermato in maniera più evidente dall’ulteriore ridimensionamento del 2005/06 (-4,5%).
Nel 2005/06 la quasi totalità (92,9%) delle immatricolazioni è indirizzata verso i corsi triennali introdotti con la riforma, mentre il 5,7% delle matricole sceglie i corsi di laurea a ciclo unico (medicina, farmacia, architettura ecc.) e l’1,5% quelli previsti dal precedente ordinamento (essenzialmente i gruppi insegnamento e giuridico).
Differenze di genere: su 100 nuovi iscritti, 56 sono donne
Sono più le ragazze dei ragazzi a iscriversi all’università dopo il diploma di scuola superiore (81% contro 67%). Su 100 immatricolati, le ragazze sono 56, mentre i ragazzi soltanto 44.
I gruppi insegnamento, linguistico e psicologico sono quelli in cui la presenza femminile è particolarmente alta; i gruppi difesa e sicurezza, ingegneria e scientifico, al contrario, sono quelli in cui è maggiore il peso della componente maschile.
Gli abbandoni e i fuori corso
Gli abbandoni degli studi universitari o le interruzioni di frequenza avvengono generalmente all’inizio del corso di studi: un giovane su cinque non rinnova l’iscrizione al secondo anno. Circa il 40% degli studenti è fuori corso, mentre il 64% dei 289.155 laureati (in corsi di laurea triennali, tradizionali e a ciclo unico) ha concluso gli studi fuori corso. In particolare, tra gli studenti che hanno concluso una laurea triennale si registra un’alta quota di laureati in corso (58,8%), mentre tra coloro che hanno terminato un corso di laurea lungo appena il 15,3% si è laureato nei tempi previsti.
Continuare a studiare conviene
Nel periodo immediatamente successivo alla conclusione degli studi, la differenza nei tassi di disoccupazione tra i laureati e i diplomati di scuola secondaria superiore indica un leggerissimo vantaggio per i diplomati (lavora il 21,9% contro il 21,1% dei laureati ).
Tuttavia, la situazione cambia già nel secondo quinquennio dopo il conseguimento del titolo di studio: per i laureati 30-34enni la disoccupazione scende all’8,7%, mentre tra i diplomati di 25-29 anni si attesta al 10,7%.
Le lauree migliori per lavorare stabilmente
I corsi di laurea che favoriscono un inserimento lavorativo più rapido sono quelli del gruppo Ingegneria gestionale (a tre anni dalla laurea l’89% degli ingegneri gestionali ha un’occupazione continuativa), Ingegneria delle telecomunicazioni (88%) e Ingegneria aerospaziale e aeronautica (86%).
Buoni inserimenti occupazionali presentano anche le lauree in Farmacia (80%), Economia aziendale (77%), Odontoiatria e protesi dentaria (75%), Scienze della comunicazione (74%) Relazioni pubbliche e Scienze internazionali e diplomatiche (entrambe 73%). Questi ultimi tre corsi rappresentano delle eccezioni positive all’interno del gruppo politico-sociale che, nel complesso, registra performance leggermente inferiori alla media.
I laureati che presentano le più basse percentuali di inserimento nel mercato del lavoro sono quelli del gruppo medico ed educazione fisica, impegnati in un lavoro continuativo soltanto in circa 20 casi su 100; seguono i laureati dei gruppi giuridico (42%), letterario (46%) e insegnamento (51%). La spiegazione sta nella particolarità dei percorsi post-laurea dei giovani in uscita da questi raggruppamenti: a tre anni dalla laurea i medici sono ancora molto spesso impegnati nelle scuole di specializzazione (54 laureati su 100 svolgono formazione retribuita); anche i laureati in materie giuridiche, a causa dell’attività di praticantato post-laurea (per lo più non retribuito), cominciano più tardi a cercare lavoro. Per i laureati dei gruppi educazione fisica e insegnamento, invece, la limitata diffusione di un’occupazione iniziata dopo la fine dell’università si deve, almeno in parte, all’abitudine di lavorare già prima del conseguimento della laurea (nell’ordine, 64% e 27%), dato che i laureati in educazione fisica utilizzano sul mercato del lavoro i diplomi Isef precedentemente conseguiti.
I giovani parlano della riforma del sistema universitario
Nel 2004, a tre anni dall’introduzione della riforma, il 36% dei laureati nel 2001 risponde di non essere a conoscenza delle trasformazioni introdotte nell’offerta formativa. Tra quanti invece hanno affermato di conoscere la riforma universitaria è nettamente prevalente l’opinione che il nuovo sistema peggiorerà la preparazione culturale complessiva dei laureati (62,4%) e la qualità dell’offerta formativa (54,1%).
È invece decisamente consistente la quota di quanti pensano che si ridurrà il fenomeno degli abbandoni (72,5%) e dei fuori corso (64,9%). Per il 45,4% la capacità dell’università di formare figure professionali adeguate al mercato del lavoro migliorerà, anche se è tutt’altro che irrilevante la percentuale di quanti pensano che peggiorerà (29,4%) o che resterà invariata (25,2%).
Coerenza tra titolo di studio e lavoro svolto
Sono i giovani in uscita da corsi del gruppo ingegneria (con 83 laureati su 100 occupati in lavori che richiedono la laurea), ma soprattutto chimico-farmaceutico (94 laureati su 100 occupati) e medico (la quasi totalità) a vedere un maggiore riconoscimento del proprio titolo di studio. Al contrario, a trovare lavori nei quali la laurea non è richiesta, sono ben 60 laureati su 100 del gruppo educazione fisica e circa la metà di quelli dei gruppi politico-sociale, linguistico e letterario.
Su 100 laureati che lavorano ben 32 dichiarano che la laurea – indipendentemente dal fatto che abbia o meno rappresentato requisito di accesso all’occupazione – non è necessaria nell’effettivo svolgimento del lavoro.
Sebbene l’accoglienza riservata dal mercato del lavoro ai laureati non sia sempre all’altezza dell’investimento formativo (rispetto sia agli ingressi nel lavoro sia alle possibili progressioni di carriera), i giovani sono comunque abbastanza soddisfatti del proprio lavoro: gli aspetti più apprezzati sono il grado di autonomia sul lavoro (l’89% di soddisfatti) e le mansioni svolte (86%). Il trattamento economico (62%), le possibilità di carriera (64,8%) e l’utilizzo delle conoscenze acquisite (65,7%) sono invece gli elementi meno gratificanti.
Il dato sulle possibilità di carriera, in particolare, se letto accanto a quello che si riferisce alla più limitata soddisfazione per la stabilità del posto di lavoro (71,5%), dimostra come una buona parte dei laureati si preoccupi soprattutto per le prospettive occupazionali future.
Tipologie contrattuali e di trattamento economico per i giovani laureati
Nel 2004, circa il 38% dei giovani laureati del 2001 che ha trovato lavoro dopo la conclusione degli studi universitari risulta impegnato con contratto a termine, il 43% ha un contratto a tempo indeterminato e il 19% ha avviato un lavoro autonomo.
In particolare, su 100 occupati ben 15 sono collaboratori coordinati e continuativi (inclusi i lavoratori a progetto), quasi 9 lavorano con un contratto collettivo nazionale di lavoro a termine, circa 4 con un contratto di formazione e lavoro, e 4 con contratti di prestazione d’opera occasionale.
Lavorare in maniera solo occasionale/stagionale o con un contratto a termine spesso non rappresenta una scelta del giovane laureato ma la conseguenza di difficoltà riscontrate e di aspettative disattese nella ricerca del lavoro. Circa il 55% degli occupati in maniera occasionale/stagionale dichiara, infatti, di non aver trovato una migliore opportunità e poco più del 66% degli occupati con un contratto a termine ammette che questa forma contrattuale non è il frutto di una scelta personale.
Come di consueto, la pubblicazione è consultabile all’indirizzo web Istat, sezione Istruzione e lavoro, sottosezione Formazione e istruzione.